La leggendaria Simona Faraone ci guida alla scoperta della nascita della club culture italiana: un viaggio all’interno del mondo della notte, dai primi rave a Sun Ra, da Lory D a Claudio Coccoluto.
Come ci si sente a tornare a suonare dal vivo dopo tanto tempo?
Innanzitutto questo è il primo festival italiano di musica elettronica in assoluto in cui vengo coinvolta, quindi, a prescindere da quello che abbiamo vissuto nell’ultimo periodo, si tratta di una novità per me. Dal 2016 sono molto attiva come fondatrice e produttore esecutivo di un’etichetta che si sta facendo notare, la New Interplanetary Melodies.
Inoltre quest’anno il RoBOt ha assegnato ai tre protagonisti principali su cui si è sviluppata la parte artistica di segnalare degli artisti che avessero la stessa visione e determinate caratteristiche. Si tratta di Lorenzo Senni, Caterina Barbieri e Donato Dozzy e io faccio parte del “gruppo” selezionato da Donato Dozzy. Tra l’altro siamo amici da molti anni, siamo entrambi romani, nonostante io da diversi anni viva stabilmente a Firenze, e c’è una grande stima reciproca. Mi definisco apolide, nel senso che la mia vita sia privata sia professionale si è sempre divisa fra queste due città. Certo, la mia storia inizia a Roma e rivendico i miei inizi nella città in cui sono nata e che mi ha anche dato un’impronta professionale e musicale.
Com’era Roma musicalmente negli anni in cui hai iniziato?
Parliamo degli anni ‘80 quindi di un’epoca in cui la discoteca era nel suo massimo splendore. Il mondo della notte in Italia e in determinate città fra cui, soprattutto, Roma era molto vivace. Alcuni miei colleghi, che io ammiravo molto e che sono stati tra i più importanti DJ italiani di quegli anni, facevano parte di una cosiddetta “scuola romana” che era un po’ in rivalità, o comunque antitetica rispetto alla scena afro sviluppatasi di più nel nord Italia. Più che altro erano due sensibilità musicali differenti, nonostante in alcuni casi si suonasse anche la stessa musica.
I miei riferimenti erano i DJ di quell’epoca: Faber Cucchetti, che seguivo perché era un personaggio radiofonico molto in voga ed é stato per i DJ della mia generazione, nati a metà degli anni ’60, un esempio da seguire. Poi c’erano i fratelli Peter e Paul Micioni, storici DJ dell’ambiente romano, Marco Trani, come non citarlo, e tanti altri, tra cui Adriano Chiarini , un outsider di quella scena, che io considero un po’ il mio mentore.
Noi che ci avvicinavamo al mondo dei DJ non la consideravamo ancora una professione, ma più una passione che derivava dal fatto che amavamo la musica.
Che sia diventata una professione è stato un passaggio successivo, mentre i nomi che ti ho citato erano dei grandi professionisti. All’epoca fare il DJ significava essere titolare di una console di un importante locale romano, come ce n’erano tanti e tutti molto competitivi tra di loro. Significava dare un’impronta musicale a tutta una stagione ed essere d’esempio per tanti altri DJ.
La generazione della “svolta” e la nascita dei primi rave
Vedere all’opera Marco Trani con i suoi virtuosismi al mixer o ascoltare Paul Micioni, che in un locale come l’Easy Going era già stato un precursore di sonorità funk e disco che potevano essere ballate, ad esempio, a New York in locali altrettanto prestigiosi, era, per noi dj più giovani, fonte di grande ispirazione e il tentativo di emularli ci ha portati poi a trovare il nostro stile. Quindi parliamo di gente che ha sempre fatto ricerca musicale, anche musicisti e produttori musicali a loro volta.

La generazione a cui appartengo io è quella che poi ha dato vita alla cosiddetta “svolta”. Quando è arrivata la prima House music a Roma, è stato come un detonatore. Si è creata immediatamente una sorta di selezione naturale nel pubblico, si sono formati spontaneamente “giri” di persone che sceglievano di partecipare alle feste dove si ascoltava solo acid house o US garage (all’inizio erano feste esclusive, ville o location segrete), anche se in alcuni club più alternativi veniva già proposta house music, ma non era la stessa cosa che viversi l’house party vero e proprio insomma.
A fare un po’ da catalizzatore di questo nuovo fermento musicale fu proprio un locale in centro, La Vetrina, una sorta di Disco Bar, dove ogni sera suonavano diversi dj a rotazione e, in modo democratico, si dava spazio sia a DJ della vecchia guardia, sia a quelli della nuova generazione. É stato il posto dove sono nate le situazioni più alternative, contemporaneamente al Devotion e alle serate dei Ragazzi Terribili di Marco Moreggia, fino all’organizzazione dei primi Rave di cui il gestore Claudio Milo detto Vietnam, fu uno dei principali artefici insieme ad altri soci. La prima scena Rave si identificò principalmente con due filoni paralleli, quella di Dynamic Groove & The Phuture di Claudio Vietnam & soci e quella della Male Production di Chicco Furlotti, ai quali seguì un giovanissimo e già intraprendente Andrea Pelino.
Successivamente si è creata una seconda scena rave che era più aderente ai centri sociali e ai posti occupati. La prima, di cui ho fatto parte anch’io, era nata spontaneamente con la necessità di spazi nuovi in cui organizzare eventi, musicalmente alternativi rispetto alla scena clubbing di quel periodo. I dj della mia generazione hanno fatto quasi tutti lo stesso percorso musicale: siamo passati dal funk, all’hip-hop, alla House e alla Techno. Anche nei rave all’inizio si suonavano diversi generi musicali, prima del predominio assoluto della Techno, che a Roma ha avuto una connotazione importante.
C’era uno spazio industriale fuori Roma, ad Aprilia, il Doing dove si svolse quello che viene considerato il primo rave italiano. Eravamo tutti più o meno degli stessi giri e tutto era molto spontaneo e si basava sul passa parola. Ci si vedeva in dei punti di ritrovo in cui avveniva lo sbigliettamento e delle volte riuscivamo ad arrivare a degli after hours o a dei rave in posti impensabili perché dovevano sempre essere decentrati rispetto alla città.

La house e la techno sono arrivate come un vortice. La cosa bella era che ci sentivamo tutti parte di un’unica comunità.
Spesso sono stati utilizzati dei locali giganteschi ereditati della scena disco molto forte che c’era stata negli anni ’70 e ’80 e che ormai erano decaduti. Si trovavano fuori Roma, sulla Salaria, sulla Cassia o in regioni confinanti, come l’Abruzzo e l’Umbria. Nella provincia di Perugia, ad esempio, c’erano dei locali grandi, multi dancefloor, come il Quasar, dove vennero organizzati rave memorabili. É stato un grande movimento e chi vi ha partecipato era di estrazioni molto diverse, mentre noi DJ che vi abbiamo suonato venivamo tutti più o meno dalle stesse esperienze.
Quella che noi chiamavamo avanguardia era sperimentare e fare qualcosa che non sapevamo cosa potesse suscitare. Il riscontro del pubblico poi è stato imprevedibile e grandissimo perché la stessa musica house e techno, quando prima c’era altro, è arrivata come un vortice. La cosa bella era che ci sentivamo tutti parte di un’unica comunità ed erano anni di grande accelerazione, anche se si era già nei primi anni ’90 in cui si pagava lo scotto della crisi seguita agli anni ‘80. Roma è stata la città in Italia dove forse i rave si sono sviluppati più spontaneamente.
Tu sei stata una delle prime donne che si è affacciata alla professione del DJ, come te la sei vissuta?
Io era vista come una mosca bianca, sia perché erano tutti uomini sia perché suonavo musica techno, in quell’epoca. In realtà non sono stata la prima DJ donna romana perché prima di me c’erano state le sorelle Claudia e Silvana Longhino e altre DJ donne che provenivano soprattutto dall’ambiente radiofonico, per quanto molto brave. Io ho tentato di farmi strada tramite amici e conoscenti, ad esempio conobbi il proprietario di Goody Music, un negozio di dischi che frequentavo, Claudio Donato, che era un discografico famoso già negli anni ’70. I colleghi dj con i quali dovevo confrontarmi erano quelli della generazione di rottura che ti ho descritto prima, ed erano tutti molto bravi, per cui non era semplice salire in console quando c’erano Lory D, Francesco Zappalà, Mauro Tannino, Paolo Zerla, i fratelli Prezioso, Max Durante…
Mondo della notte e mondo della comunicazione: dalle incursioni televisive di Lory D all’omaggio al leggendario Claudio Coccoluto
Quella scena cominciava anche a destare l’attenzione dei Media , come la celebre “incursione” di Lory D e Leo Anibaldi da Giuliano Ferrara.
Roma di notte è sempre stata un mix tra clubbing, mondo del cinema, della televisione, del teatro, e giornalisti. Da noi nei primi rave veniva a ballare anche Roberto D’Agostino, che è stato uno che ha sempre seguito tutte le tendenze, tra l’altro essendo lui stesso un DJ. C’è stato un giornalista, di cui io sono stata grande amica, scomparso all’inizio degli anni 2000 e a cui è stato dedicato recentemente un Premio, il grande Dino D’Arcangelo, che aveva creato una rubrica su Repubblica che si chiamava “Tenera è la notte”.

Nell’edizione di quest’anno del Premio “Tenera è la notte”, intitolato al grande Dino D’Arcangelo, abbiamo reso omaggio alla figura leggendaria di Claudio Coccoluto.
Lui ha dato voce, su un quotidiano nazionale, a una scena che altrimenti, forse, non l’avrebbe avuta, e l’ha raccontata con grande obiettività e puntualità. Era molto interessato a questo nuovo movimento, e ne ha scritto per tanto tempo. Infatti è stato creato questo Premio a lui intitolato, che viene dato ogni anno a un personaggio che si è distinto nella club culture, ricordando l’attività di Dino, e della cui giuria faccio parte anch’io. Nell’edizione di quest’anno, abbiamo reso omaggio alla figura leggendaria di Claudio Coccoluto. É stato pubblicato anche il libro “Tenera è la notte – La club culture di Dino D’Arcangelo“ , di cui è coautrice Nicoletta Megalotti (NicoNote) insieme al giornalista Pierfrancesco Pacoda che era molto amico di Dino.
Il mondo della comunicazione è sempre molto incuriosito dai fenomeni alternativi e cerca di indagarli in qualche modo, e spesso quando questi due mondi così distanti si incontrano gli esiti sono imprevedibili, come la ormai nota incursione di due esponenti dei Rave e della musica techno come Lory D e Leo Anibaldi da Giuliano Ferrara. Al tempo stesso si capisce come quel fenomeno di grande rottura era diventato estremamente popolare. A Roma non si parlava d’altro che di questi rave e se ne faceva 4, 5 ogni sabato sera, che spostavano migliaia di persone.Gli ospiti che venivano coinvolti poi erano i DJ di cui noi suonavamo i dischi, DJ olandesi, tedeschi, di Detroit. Le prime date in Italia degli Undergound Resistance, con Jeff Mills e Mike Banks sono state fatte a Roma.
La migrazione verso Bologna, la rivalità fra Link e Cocoricò e la seconda scena dei rave
In quegli anni si è creata anche una bella sinergia tra Roma e Bologna. Andrea Benedetti, che stimo moltissimo e che ha un grande ruolo di divulgatore ed “educatore” musicale, aveva stabilito una collaborazione con gli artefici dell’epoca del vecchio Link. Andava a suonare lui stesso a Bologna, con Marco Passarani, e contribuirono a coinvolgere diversi artisti importanti per la prima volta in Italia o artisti che avevano suonato precedentemente solo a Roma. La scena elettronica di Bologna ha sempre avuto una certa rivalità con la riviera romagnola perché lì c’era il “gotha” del clubbing italiano house e techno rappresentato dal Cocoricò. In realtà un certo tipo di techno si suonava al Link e non al Cocoricò, ma sono scene che poi si sono influenzate a vicenda.
Il primo artista che è uscito sulla mia etichetta, “Mayo” Soulomon, non a caso, era uno dei resident del vecchio Link con Angelo Sindaco e Gianluca Ghini. Loro suonavano techno di Detroit e la Chicago house, e sperimentavano parecchio. Le tracce di Mayo che ho pubblicato sulla mia label, provengono da vecchie registrazioni su nastro risalenti proprio a quegli anni di grande fulgore creativo. Infatti l’EP si intitola “Magnetic Archive”. Il Link è stato un posto unico in Italia, era l’anti clubbing per antonomasia. Noi a Roma lo avevamo fatto coi rave, loro invece avevano creato un “Luogo” di sperimentazione.
Successivamente c’è stata una trasmigrazione della parte buona romana dei rave verso Bologna. I rave poi si sono bruciati quasi subito perchè la gestione passò nelle mani di personaggi poco attenti alla qualità della musica, ma piuttosto attratti dal potenziale alto di guadagno che, all’epoca, era tutto in lire, in contanti e molto poco tracciabile. Io personalmente me ne sono distaccata poco prima del declino e comunque, contemporaneamente, era nata una scena con una sua dignità, ovvero la seconda ondata rave romana dei posti occupati. Non ho sempre condiviso quello che è stato fatto in quella scena, ma ammetto di non averla frequentata. Lì sono transitati anche DJ che erano appartenuti all’altra scena romana, come Leo Anibaldi che poi si è dedicato a quella causa, o Anna Bolena che è stata la prima DJ donna a quel tipo di rave.
Tu poi ti sei trasferita a Firenze, dove tuttora vivi, giusto?
Io nel ’93 avevo già iniziato a frequentare la Toscana, ho lasciato Roma e mi sono trasferita a Firenze dove sono entrata in un altro movimento, altrettanto importante, che era quello della “progressive”, diventando la dj resident del Tenax. Quel movimento era nato nel locale L’ Imperiale , a Tirrenia, dove avevano suonato anche alcuni DJ romani come Leo Young e Paolo Zerletti. Quella scena però, rispetto a quella romana, era più coesa e non aveva bisogno di organizzare rave perché avevano la possibilità di avere dei grandi club come L’Imperiale, l’Insomnia, il Tenax, il Jaiss, l’ Ashram. Tutti locali che hanno avuto delle console di un certo peso, ognuno con la sua identità.

Io ho assimilato la musica progressive come approccio nella tecnica di missaggio, iniziando anch’io a sperimentare dei set molto lunghi. C’erano Miki “The Dolphin”, Francesco Farfa, Roby J che erano quelli iconici del movimento, ma anche tanti altri di grande livello.
Una figura importantissima è stato Franco Falsini, musicista fiorentino che negli anni ’70 era transitato nel prog-rock con i Sensations’ Fix, una band culto di quegli anni. Lui ha fondato la Interactive Test che è l’etichetta che sta alla base del movimento progressive toscano e da cui sono usciti tutti i DJ poi diventati le icone di questo movimento: Miki, Francesco Farfa, Roby J, Gabry Fasano.
Franco Falsini aveva creato anche un progetto elettronico chiamato Open Spaces, con suo fratello Rick 8, e loro sono stati i primi a portare in Italia un tipo di esibizione audio-visual grazie anche alla sua compagna, Elisabetta Brizzi, che è una videomaker molto brava. Io lo conobbi la prima volta a Monterotondo , vicino Roma, al mega Rave “Stop The Racism – Rave /Vision” per il live di Adamski con 8000 persone, poi passato alla storia. Ricordo ancora la line up: gli Open Spaces, Digital Boy e Adamski.
Chiaramente il personaggio più iconico dei Rave rimane Lory D, che riuscì a firmare un contratto con una major con cui pubblicò il suo album “Antisystem” e questo fa capire come la techno fosse già considerata all’epoca. Io ho avuto la fortuna di essere presente, di aver partecipato a questo movimento e di aver lavorato con questi artisti. Mi ritengo fortunata in questo perché se fossi nata oggi, non avrei avuto questo background. I dj delle nuove generazioni sono molto incuriositi da quello che era successo in Italia in quegli anni. Soprattutto, per quanto mi riguarda, il fatto di essere rimasta ancora attiva in tutti questi anni portando avanti la ricerca musicale e avere questo bagaglio fa la differenza.
L’etichetta “New Interplanetary Melodies” omaggia la grandezza di Sun Ra e percorre strade a cavallo fra diverse forme d’arte
Questo bagaglio di esperienze da qualche anno l’hai portato nel tuo lavoro con le etichette, Roots Undergound e New Interplanetary Melodies.
Roots Underground è l’etichetta del mio compagno, Marco Celeri, che ho inizialmente aiutato nello sviluppo del catalogo in vinile. Lui ha un suo gusto musicale e non ci sovrapponiamo con le uscite di New Interplanetary Melodies, a cui io ho voluto dare un’impronta più visionaria.
Già dal nome!
Non l’ho inventato io, è un omaggio a quello che rappresenta la discografia di Sun Ra. Si tratta di un personaggio che ho conosciuto tardi nella mia vita musicale. All’inizio non seguivo il Free jazz o il Cosmic jazz, però a un certo punto mi ci sono trovata dentro e ho trovato delle connessioni con quello che a me ha sempre interessato, come la musica fortemente connotata da sonorità afro-futuriste.
Sun Ra è stato veramente unico, non solo nella musica, ha fatto e suonato veramente di tutto percorrendo qualsiasi sentiero e ritenendosi a sua volta un comunicatore, un angelo che aveva una missione. Fra queste c’era anche quella di elevare il popolo afro-americano, una sorta di popolo eletto, attraverso la sua forza e la sua musica, come già era successo con il Jazz.
Quindi, con molto rispetto, ho voluto dedicare la mia etichetta a lui e anche il logo è ispirato al Sole, che ricorre sempre nella simbologia cosmogonica di Sun Ra, che poi ho modificato inserendo la costellazione stilizzata dello scorpione perché è il mio segno zodiacale.
Un disco in particolare, uscito su New Interplanetary Melodies, è proprio riferito alle sonorità di Sun Ra, Ra Toth and The Brigantes Orchestra di Marcello Napoletano dal titolo “Acid Sea” ed è stata la terza uscita dell’etichetta.
Dopodiché ho iniziato una collaborazione con i 291outer space che ha dato vita a un nuovo corso dell’etichetta nelle contaminazioni con altre forme d’arte, tra cui il fumetto e la letteratura di fantascienza che mi ha sempre affascinato molto.
Il titolo della quarta release è “Escape from The Arkana Galaxy” ed è stato un gran lavoro in sinergia con la band, in particolare con Luca “Presence” Carini che è il leader, nonché mente funambolica del gruppo, e Ivan Cibien che rappresenta la parte elettronica. Loro vengono dall’esperienza della musica applicata e hanno uno stile da soundtrack: infatti il progetto che hanno realizzato su New Interplanetary Melodies è una space opera quadrimensionale, in quattro atti. Il disco si avvale di un artwork notevole, realizzato da Simone “Mega” Antonucci, un disegnatore che ha uno stile volutamente vintage che si riferisce a un certo tipo di comics di fantascienza degli anni ’50. Il disco è stato presentato con dei live performativi, uno dei quali si è tenuto all’Auditorium dell’Ara Pacis di Roma durante la manifestazione “La notte dei musei” grazie al management di Lecizio Parlagreco per Exotique Booking.
Ci sarà un sequel di questo progetto nel 2022, nel frattempo dal fumetto di fantascienza siamo arrivati a un fumetto cartaceo vero e proprio del collettivo romano Kuro Jam di cui è sceneggiatore Gianluca Pernafelli. Con lui si è sviluppata l’idea di realizzare un disco che fosse l’evoluzione del fumetto e il progetto si chiama “Kimera Mendax”. Si tratta di un progetto totalmente romano e anche la storia si svolge nel 2048 a Roma, che è centrale anche nei suoi aspetti più reconditi. Il primo volume pubblicato è l’EP Various Artists di quattro tracce in cui appaiono Andrea Benedetti, Mayo Soulomon, che è il dj di riferimento della label, E.L.F. e Peter Blackfish.
A fine settembre di quest’anno uscirà il Volume 2 di Kimera Mendax, in una veste grafica ancora più ricca, con una copertina gatefold coloratissima, che contiene all’interno una parte della storia illustrata con le tavole del fumetto. Stavolta sarà un doppio EP vinile colorato al quale partecipano 8 artisti: Massimo Amato, Tiziano Lucci, Hyena, T/Error, Mattia Trani 051 Destroyer, Ma Spaventi, Fabrizio e Marco D’Arcangelo e NicoNote.
Interessante anche la scelta di pubblicare tutte le release in vinile.
Sono tutte in vinile e si possono acquistare digitalmente su Bandcamp. Per il futuro sto pensando di pubblicare anche uscite in digitale, tramite il nostro distributore del supporto fisico che è Lobster Distribution. Io sono affezionata al supporto vinilico perché è stato il supporto con cui ho iniziato. Ci ho sempre creduto e non ho mai mollato il vinile anche con l’avvento dei Cd e poi del digitale. Adesso il vinile è stato riscoperto, ma c’è stato un momento in cui da parte dei colleghi, anche della mia generazione, c’è stato un allontanamento a favore delle nuove tecnologie digitali.

Sono contenta che mi venga riconosciuta una certa qualità nella selezione e di avere sempre mantenuto la mia posizione in una nicchia, di non essere un personaggio che va di moda.
Questo atteggiamento quasi di “reset” era dovuto in parte ad un certo tipo di musica che usciva prevalentemente in formato digitale, vale a dire tutto quel periodo, che io non ho amato particolarmente, della tech-house e della techno minimale. Ha un po’ appiattito tutta la proposta della musica elettronica, omologandola a favore del mercato mainstream. La facilità di pubblicare sulle piattaforme digitali, rispetto a un vinile che ha una gestione molto più lunga, secondo me ha generato una certa confusione.
É stato il periodo dei “laptop dj” che ha avuto la sua legittimità, ma per me è coinciso con un periodo in cui ho iniziato a prendere anche le distanze da certe situazioni dove non riuscivo a sentirmi a mio agio musicalmente. Il mio ambito preferito sono sempre state le situazioni più underground. Essendo legata al supporto vinilico non ero neanche più nei radar di certi organizzatori che preferivano coinvolgere solo determinati dj. Una come me, che suona di tutto, nel senso che amo le contaminazioni e la ricerca, non era facilmente collocabile come dj in una serata di quel tipo.
A me in un set piace essere eclettica anche se non sempre è facile, soprattutto quando si ha un’ora a disposizione. Mi piace fare delle selezioni anche sospese e non sono un amante del “peak time” o della cassa dritta per tutto il set. Con questo non voglio dire di essere una fanatica assoluta del vinile, mi piace suonare anche tracce digitali che reperisco su Bandcamp, una piattaforma dove è possibile scoprire tanti produttori nuovi e di talento.
Sono contenta che mi venga riconosciuta una certa qualità nella selezione e di avere sempre mantenuto la mia posizione in una nicchia, di non essere un personaggio che va di moda, ma che c’è. Penso di essere una persona seria in quello che faccio, rispettata dai più, e questo mi basta. Non ho mai fatto business su questo. Tra l’altro, sia per una scelta che per un’esigenza personale ho sempre fatto anche altri lavori nel frattempo e non mi sono mai mantenuta solo facendo la DJ. La storia di un DJ è fatta di alti e bassi, fortunatamente la mia non è stata tutta in discesa e sono felice di essermi saputa ricavare di nuovo una posizione nella scena attuale.
Dal plauso meritato al RoBOt 12 a un’estate ricca di belle iniziative. E sul futuro del clubbing in Italia…
Adesso come vedi la scena legata al mondo del clubbing italiano?
Possiamo ancora parlare di mondo del clubbing italiano? Cosa succederà? Oggi è una bella fortuna essere all’interno di questo festival e gli organizzatori del RoBot hanno avuto un grande coraggio. Condivido appieno la scelta di una line up tutta italiana. Era ora che un festival desse spazio alle realtà locali! D’altra parte è una cosa che supporto totalmente dato che la missione della mia etichetta è proprio quella di dare impulso alla scena musicale italiana.
Io osservo la situazione attuale, penso e mi sono fatta le mie idee su ciò che è accaduto e che potrà accadere. Per quanto mi riguarda, non essendo un DJ così sulla cresta dell’onda, non mi è mancato tutto all’improvviso perché le mie apparizioni in console erano già molto sporadiche. Quello che mi è mancato è stato non poter fare la giusta promozione per le uscite dell’etichetta, a contatto con il pubblico. Non è stato semplicissimo divulgarle, ma ci siamo riusciti nonostante l’inibizione alla socialità.
Tra l’altro, proprio l’uscita “Kimera Mendax”, che avremmo voluto promuovere dal vivo, è molto in tema con la situazione attuale. Parla di una società tecnocratica, governata da un sistema bio-operativo che si chiama “KX”, e di una comunità di ribelli che rifiuta la situazione e si ritrova nei sotterranei di Roma. Lì ci sono dei dischi in vinile che diventano gli artefici di una ribellione al sistema quindi sì, diciamo che il disco è uscito in un momento molto particolare!
Dopo il RoBot hai altri eventi in programma ?
Quello più vicino è il 18 luglio, ed è una bella rassegna concepita dagli organizzatori del Dancity Festival, che quest’anno, vista la situazione, hanno optato sulla scelta di un itinerario che si snoda in 5 appuntamenti in località immerse nella natura tra le Marche e l’Umbria. La rassegna si chiama Synthonia, in collaborazione con il Museo del Synth Marchigiano, Macchine Nostre, Musicamdo Jazz e Bnoise.
Inoltre abbiamo in programma da settembre una serie di date “live” con il prossimo artista che uscirà su New Interplanetary Melodies, il bravissimo batterista Giovanni Natalini aka Co-Pilot, per promuovere l’album “Green Machine “ e la sua missione ecologista, di grande attualità.Il 25 settembre presenteremo il Volume 2 Kimera MendaX al Caracol di Pisa, con gli amici del collettivo PUM Factory, e il 5 settembre parteciperemo alla seconda edizione di Camporella Record Fair al Postwar Cinema Club di Parma, evento dedicato al collezionismo di musica in vinile e alle etichette indipendenti.