L’etichetta e studio di Milano “La Sabbia” si racconta a partire dall’ultima compilation “The Wellness Algorithm”
Se il 2020 è stato l’anno in cui tutto si è fermato, settore musicale compreso, il periodo che abbiamo vissuto è stato anche l’occasione per molte realtà di mettersi in mostra e reinventarsi. Chi ha voluto fortemente andare avanti, nonostante le molte difficoltà, sono stati i ragazzi dietro La Sabbia, etichetta indipendente e studio di registrazione in Via Padova a Milano.
In questa chiacchierata con loro si è partiti dalla compilation “The Wellness Algorithm” per andare a toccare temi diversi e molto interessanti. Da cosa abbia rappresentato per un gruppo di musicisti e lavoratori nel settore musicale doversi fermare all’improvviso, passando per stoccate alla politica, fino alle occasioni che hanno creato una connessione mai vista fra le realtà milanesi, come il documentario “A Pandemic Rave“.
Partiamo dalla fine e cioè dall’ultima release di casa La Sabbia: “The Wellness Algorithm”. Di cosa si tratta?
Andre (Vannelli Bros aka Dynamic Duo/ Electric Fingerz): Il 15 dicembre è uscito in presale il nostro terzo vinile “The Wellness Algorithm“. Si tratta di una compilation Various Artists uscita in digitale – solo su Bandcamp – e che poi abbiamo abbinato a un vinile di 4 tracce estratte dalla compilation.
Ale (Doc Pavlonium/ WRONG MÆSS/ Composer Odissey): Per quanto riguarda il discorso musicale, l’idea di base di questa compilation era quella di riunire un po’ di persone che lavorano in vari progetti all’interno dello studio e che avevamo il piacere di fare uscire in una raccolta. Una compilation rappresentava anche un prodotto nuovo per noi come etichetta. All’inizio doveva uscire solo in digitale, poi però non abbiamo resistito alla tentazione di trovare 4 pezzi che funzionassero bene anche per una stampa in vinile.

Si potrebbe definire abbastanza aperta come compilation. È l’espressione di vari musicisti che fanno parte di una cosa che più o meno condividono, che si conoscono, si stimano e si influenzano a vicenda. Non c’è la ricerca di un genere ben definito per quanto poi il vinile va in realtà molto sull’electro e sul break.
Quindi le tracce del vinile sono state scelte anche per una coerenza musicale tra di loro?
Ale: Sì, per una coerenza tra loro in termini di suono e di funzionalità su un vinile.
Il manifesto del disco tra l’altro c’entra eccome col vinile, perché fa riferimento al gesto di ascoltare musica fisicamente in un mondo in cui tutto ciò che ascoltiamo è tracciato per esserci poi rivenduto.
Ale: Io direi che per noi questa è una riflessione aperta. A partire da quest’estate, ci siamo interrogati sull’immaginario dietro alla compilation, anche per trovarle un nome. Da un lato è un po’ una critica e, dall’altro, un’analisi del modo di essere fruitori di un’opera d’arte.
“The Wellness Algorithm” è l’inizio di una serie e anche per noi questo è l’inizio di un percorso di lettura e approfondimento di varie tematiche che mano a mano verranno snocciolate, magari durante le prossime serie o uscite. Stiamo cercando anche di trovare un senso rispetto all’era in cui siamo e rispetto a quello che ci succede, che viviamo o che sentiamo. Una delle riflessioni è l’algoritmo, per cui il fatto di delegare la capacità di scelta e analisi a sistemi precostruiti all’interno di macchine.
Andre: L’idea non era tanto di imporre un messaggio, quanto di aprire una riflessione.
Come vi siete mossi nella distribuzione del disco?
Andre: Noi ci siamo sempre mossi da indipendenti, ma abbiamo cercato una distribuzione sia fisica che digitale che ci desse una mano a crescere e a diffondere il nostro prodotto e il nostro messaggio.
Enri (WRONG MÆSS/ K Commission): Metà del lavoro è fatto da noi dal punto di vista distributivo e di vendita. C’è sia Bandcamp, che sta iniziando ora a conformarsi alla distribuzione in maniera giusta e corretta rispetto a ciò che pensiamo come etichetta, sia il fatto di portare a mano i dischi e venderli.
Andre: La distribuzione è semplicemente uno strumento che hai in mano. In realtà il 90% devi farlo da autodidatta: è essenziale tutto il movimento che c’è intorno all’etichetta. In più coi costi di produzione i margini sono davvero irrisori. I nostri primi due vinili erano un prodotto da major per il packaging e in generale perchè abbiamo mirato a fare un prodotto di qualità in tutto e per tutto.
Il tutto nell’attesa che torni presto la musica dal vivo.
Ale: Noi abbiamo fatto l’ultimo vero concerto il 21 febbraio, in cui abbiamo presentato il disco dei Wrong Mæss ed è stato proprio quando c’è stato il paziente 0. Altri concerti ce ne sono stati, ma sempre nelle dinamiche relative al Covid. Da un lato il fatto di avere lo studio e di poter suonare insieme ci ha dato la possibilità di sfruttare bene il tempo della pandemia. È stata una risorsa per produrre musica, andare avanti come etichetta e migliorare anche tecnicamente. Se penso a una band che improvvisamente non può più suonare perché le sale prove sono chiuse, lì te la vivi veramente male. Noi su questo siamo stati fortunati.

Andre: Noi siamo sempre stati da vita reale e molto poco social. Questo nel tempo ci ha dato tutto, ma, nel momento in cui le cose si sono fermate, ci siamo accorti che forse era il caso anche di prestare attenzione alla nostra immagine a livello digitale.
Comunque non è facile in un periodo come quello che c’è stato continuare a investire nella musica perché più o meno tutti lavoravamo nel settore musicale e ci siamo ritrovati da 100 a 0 in un secondo. Tantissimi si sono completamente fermati. Noi siamo riusciti a pubblicare due vinili e in più ci siamo rilanciati con format diversi quando sono ripartiti un po’ gli eventi. È una scommessa, ma è la scommessa della nostra vita perché noi è questo che vogliamo fare.
Tra l’altro dal punto di vista statale sono mancati degli aiuti concreti alla categoria.
Andre: Qui si apre un discorso politico. Noi abbiamo partecipato come etichetta a “A Pandemic Rave” che tratta proprio queste tematiche. In Italia il nostro settore è considerato divertentismo puro, dalle altre parti è una scena culturale e in quanto tale supportata dai governi. Questo pregiudizio c’è soprattutto nei confronti della musica elettronica.
Enri: Una cosa molto figa di questo periodo è che in queste zone si sta sviluppando una bella connessione fra studi, fra gente che suona e che viene dal mondo delle serate, cosa che prima mancava. Alcuni rappresentati dell’underground milanese di musica elettronica o di musica in generale si sono più avvicinati in questo periodo, nonostante le differenze fra loro. Io ho conosciuto molte più persone adesso di prima e vedo che c’è voglia di portare avanti discorsi che vanno oltre la smerciabilità di musica elettronica e dell’andare a ballare la sera. C’è una bella scena a Milano che forse non è neanche una scena.
Ale: Non è consapevole di esserlo.
L’impressione da fuori in questi mesi è stata proprio questa: che ci fosse voglia di farsi vedere come etichette milanesi.
Ale: Qui si aprono differenti layer. Da un lato c’è un discorso fatto più o meno l’estate scorsa. Molti fra i gestori dei locali e le persone che avevano voglia di fare qualcosa, vista l’impossibilità di avere grandi dj e intrattenitori esteri – abitudine con cui Milano è andata avanti per anni – e non avendo grossi capitali da investire, hanno pensato di dare più spazio alla scena. Gli stessi artisti e le etichette si sono messe a organizzare dirette streaming e altre attività per mettersi in mostra. Questa è un’occasione, da un certo punto di vista, perché era da un po di anni che il mercato di musica elettronica a Milano era saturo e soffriva.
Dipendeva quasi esclusivamente dai grandi nomi stranieri.
Ale: A Milano è raro trovare una serata organizzata, fatta e finita da gente di questa città. Questa dinamica si è rotta per la situazione eccezionale in cui ci siamo trovati. C’è ancora spazio secondo me per la realtà locale. Si tratta di una rete: gente che si conosce e ha stima reciproca che si mette insieme per organizzare degli eventi. Ovviamente in gruppetti perché la scena milanese non ha la tendenza a riconoscersi.
Enri: È lo specchio di Milano. Piazze. Ed è una cosa buona perché la gente è tornata a fare piazza.
Un tentativo di unificare realtà diverse è stato proprio “A Pandemic Rave”.
Ale: Esatto, i ragazzi di Segmenti e una serie di realtà hanno voluto mettere persone diverse davanti alle stesse domande. “A Pandemic Rave” è nata spontaneamente, da un gruppo di persone con un’esigenza comune e assolutamente senza un singolo organizzatore dietro. Non è stato un prodotto preconfezionato, e a molti è piaciuta proprio per questo. Si è mandata una mail a tutti con scritto “vogliamo intervistarvi tutti e vedere come cazzo state vivendo questo periodo”. Alcuni si conoscevano già, altri meno o non si vedevano con grande stima. Ha avuto il merito di riunire tante persone e dire : “C’è qualcosa in questa città, siete voi qui in questa stanza”. Poi sono state registrate le 18 ore di set di tutti gli artisti. È stato anche un momento di incontro molto interessante che da un po’ di tempo non succedeva.
C’è voluta una pandemia. Ora c’è da capire se questa tendenza proseguirà in futuro o si tornerà a essere separati in casa.
Enri: Già si stanno conformando delle alternative alle serate tradizionali, come ad esempio Clèr, che è una realtà diversa nata proprio durante la pandemia con l’idea di fare un’evento Covid-sostenibile. Un posto sul terrazzo di un palazzo dove puoi vivere un’esperienza diversa e suonare la musica che ti piace. Noi ad esempio abbiamo fatto delle jam fra elettronica e jazz, ma ci sono stati anche dj set e altre forme di intrattenimento. Il tutto però lì viene fruito in modo diverso: non prettamente come una serata, ma come ascolto della musica. E poi noi siamo i primi a dover sentire altra gente che suona per capire se siamo parte di qualcosa. È buono se rimarrà questa forza e anche altre persone si stanno reinventando.
È bello perché vuol dire che l’elettronica diventa più partecipativa.
Ale: L’elettronica e non solo. Noi ci muoviamo un po’ in mezzo e preferiamo mantenere aperti due canali: sia musica strettamente elettronica sia suonata. Così puoi reinventare il formato di un evento che è più vario e che può essere fruito da persone diverse e in momenti diversi. Anche il pubblico si è posto in un altro modo. A giugno e luglio abbiamo visto le persone ascoltare musica elettronica sedute a un tavolo bevendo una birra.
Il pubblico diventa anche più esigente.
Ale: Anche per noi che siamo abituati a suonare nel bordello diventa una sfida. Ti trovi la gente lì zitta che ascolta…ti cambia la prospettiva! Mi ha spiazzato positivamente.
Enri: È sicuramente la cosa più divertente che sta capitando negli ultimi tempi.
Anche la politica avrà un ruolo nelle modalità in cui avverranno gli eventi, quando si riaprirà.
Enri: Dalla politica non arriverà mai nulla che aiuti la musica a Milano. Tutto ciò che tocca la politica dal punto di vista eventistico sta creando un problema culturale a Milano. Non sono loro le persone che devono indicare la strada da seguire. È qualcosa che deve venire dalle persone che fanno la musica o da chi gestisce gli eventi insieme a chi fa la musica. Non credo sia una visione utopistica perché in questo momento a Milano si stanno parlando le persone che sono quelle che poi andranno a suonare di nuovo, quando si potrà fare.
Ale: Secondo me si mischiano tante cose. C’è un mondo, il mondo dei service, che è legato a un certo tipo di eventi e, nella stragrande maggioranza dei casi, non consiste nella trasmissione della musica in senso culturale. Si tratta di eventistica: qualcuno che ti paga per fare una festa. È prettamente lavoro. Poi c’è un altro discorso che riguarda le compagnie teatrali, i cinema indipendenti e gli studi, ovvero di chi campa di musica, ma facendola, producendola e suonandola. Quello è un altro mondo che soffre e ha sofferto per anni e la politica milanese ha messo solo i bastoni fra le ruote a questa gente. Ci sono sempre state delle normative molto restrittive per quanto riguarda gli eventi. Ad esempio, perché le serate non possono andare avanti oltre le 5?
L’iter amministrativo e burocratico è nebuloso e non ti fa mai avere una sicurezza su quello che stai facendo. È veramente difficile a meno che non hai i soldi. Il terzo discorso infatti riguarda i grandi club che hanno un fracco di soldi e li hanno fatti così, con grandi nomi e grandi numeri. Per loro è meno problematico perché hanno grossi capitali. Chi ha sofferto davvero non aspetta risposte dalla politica perché non è quello ciò che cerca, ma un riconoscimento culturale da parte di tutti. Bisogna riconoscere di nuovo la valenza culturale della musica.
Enri: Riconoscimento e soldi! Scherzi a parte, chi fa musica veramente, lo fa in quanto è un bisogno e quindi indipendentemente da tutto.
Quindi La Sabbia non si ferma. A proposito, due parole ancora sull’etichetta e lo studio.
Ale: Noi abbiamo uno studio con un numero variabile di persone di cui una dozzina che fanno sì che questo posto fisicamente esista. Ci sono alcuni progetti interni e poi da un annetto ci siamo aperti ad altre persone. Ad esempio i De Strangers che ora sono parte integrante dello studio, fanno le prove e ospitano tutti i loro progetti qua dentro. Quando abbiamo iniziato a concepire lo studio era come luogo di incontro fra musicisti e persone e direi che adesso ci siamo.
Enri: Infatti lo studio è totalmente open source.

Ale: È predisposto per attaccare qualsiasi controllo, audio midi e usb. È uno studio di produzione, non di registrazione vero e proprio. Il che vuol dire che non siamo capaci di registrare un album, ma se vuoi produrre della musica, sia acustica che non acustica, noi abbiamo gli strumenti per registrarla ed eventualmente mixarla.
Enri: Dentro c’è poi l’etichetta che è ben contenta di conoscere musicisti e che può fornire l’eventuale concepimento di un disco, fino al vinile volendo.
Ale: L’etichetta è una costola della Sabbia e si occupa di raccogliere materiale sia dallo studio sia da tutti quelli che lo vogliono mandare e di fare una pianificazione delle uscite, dell’eventuale vinile e delle grafiche. L’elettronica è il punto focale dell’etichetta. Lo studio, proprio perché è un insieme di persone e uno spazio di condivisione, si occupa di tutto. Quello che viene fuori da qua è sempre l’incontro e l’incrocio fra tutte queste esperienze e queste contaminazioni.

E a proposito di contaminazione, anche la zona in cui vi trovate, NoLo o Via Padova, è un luogo di grande incontro e scambio culturale.
Ale: NoLo è un prodotto. È l’esito di un processo di gentrificazione portato avanti negli anni dal comune di Milano. Via Padova è il quartiere praticamente più multietnico d’Italia ed è un posto bellissimo dove vivere, dove si sta bene, dove le persone hanno contatto umano e dove le relazioni umane valgono, nel bene e nel male. È un posto vero. Nel quartiere c’è un dualismo, ci sono posti che sono ben felici di sguazzare nella realtà di NoLo e altri posti che si tengono ben stretta la vecchia Via Padova così com’è.
Qui un po’ di link per ascoltare e scaricare “The Wellness Algorithm” e altre uscite by La Sabbia:
Bandcamp: https://lasabbia.bandcamp.com/album/the-wellness-algorithm
Soundcloud: https://soundcloud.com/lasabbia
Deejay.de: https://www.deejay.de/Various_Artists_The_Wellnes_Algorithm_TWA001_Vinyl__966583
Decks.de: https://www.decks.de/track/various_artists-the_wellnes_algorithm/chi-ve