Anno 2048. Roma, la città eterna, fa da sfondo alle vicende di un gruppo di ribelli che combatte per sovvertire l’ordine imposto da KX, un sistema bio-operativo invasivo e totalizzante che controlla le persone attraverso delle appendici robotiche. Dei vinili misteriosi, capaci di catturare le radiazioni cosmiche, possono interferire con il flusso di informazioni, inarrestabile e ottundente, e risvegliare, con il proprio ritmo, la coscienza delle persone.
Mentre si avvicina l’ultimo e definitivo autoaggiornamento di KX, in concomitanza con il giorno di pasqua e, quindi, della “rinascita”, nei sotterranei di Roma si prepara l’atto conclusivo: una grande festa di liberazione dall’algoritmo dominante.

La storia di Kimera Mendax si articola in due volumi e abbraccia tematiche importanti e non così lontane da noi, neanche temporalmente. Il 2048 è l’anno in cui ricorrono i 500 anni dalla morte di Giordano Bruno, colui che rovesciò la dottrina aristotelica, considerando le mani come l’organo grazie al quale l’uomo si appropria del suo intelletto. Le stesse mani che l’umanità ha sacrificato in virtù di appendici arti-ficiali e le stesse che sono in grado di maneggiare i vinili (a 100 anni dall’introduzione del vinile a 33 giri).
Tra riferimenti e citazioni, da Gurdjeff ad Aphex Twin, l’estetica “cyperpunk” di Kimera Mendax, opera del collettivo Kuro Jam, sposa, in occasione del secondo volume, una soundtrack d’eccezione. Fra voci robotiche e gabbiani a fare da interludio, troviamo brani realizzati ad hoc per KM vol. 2 da Massimo Amato, Tiziano Lucci, Hyena, T/Error, Mattia Trani dietro al suo moniker 051 Destroyer, Ma Spaventi, i fratelli D’Arcangelo e la cantante e performer NicoNote. La copertina del disco e del fumetto è opera di Elena Casagrande, già collaboratrice, tra gli altri, di Marvel e DC Comics.
Questa imperdibile release uscirà il 29 ottobre in un’edizione da collezione, con un doppio vinile colorato e sarà prodotto dall’etichetta di Simona Faraone, New Interplanetary Melodies. Un progetto grandioso e visionario che su Nicchia Elettronica siamo fieri di raccontare attraverso le voci di due dei suoi protagonisti. Gianluca Pernafelli, membro del collettivo Kuro Jam e sceneggiatore di KM, e NicoNote, autrice del brano conclusivo, e unica song del disco, “Orizzonti Perfetti”.
Gianluca Pernafelli, membro di Kuro Jam e sceneggiatore di Kimera Mendax
La storia di Kimera Mendax è frutto di una tua idea, o ci sono più menti dietro?
Kimera Mendax è il frutto di un lavoro collettivo iniziato più di cinque anni fa. Stefano, Enrico, Giulia e Mattia avevano appena concluso il loro percorso di studi alla “Scuola Internazionale di Comics” di Roma come fumettisti e illustratori, e volevano mettere a frutto la loro esperienza con un progetto concreto. Serviva uno sceneggiatore e Stefano, mio amico da una vita, ha parlato bene di me e mi ha portato dentro il gruppo. Una cena insieme, un brindisi (forse più di uno!) ed è nato il Kuro Jam. Serviva una storia: ognuno dei ragazzi ha ideato un personaggio – una dj seducente, una ragazza appassionata di alchimia, un vecchio rigattiere, un detective segnato da brutte storie – e io ho “cucinato” gli ingredienti confrontandomi costantemente con i disegnatori e mettendo pian piano, dentro la narrazione, alcune componenti legate al mio vissuto di smanettatore di strumenti elettronici e aspirante dj sentimentalmente legato ai vinili e ai Tecnhics 1200.
La componente grafica del fumetto ha influenzato in qualche modo la storia?
Il disegno è il linguaggio attraverso il quale gli artisti sanno comunicare meglio. E io, in fase di scrittura, mi sono servito delle loro visioni per nutrire le mie idee. Quindi sì, i disegni hanno a loro modo influenzato la storia, e il dialogo tra di noi è stato costante: la sceneggiatura ha preso forma lentamente e a volte alcune soluzioni sono state un gioco ad incastri tra spazio a disposizione, che sembra sempre troppo poco, e voglia di comporre delle tavole che fossero di forte impatto. La componente grafica, in questo lavoro, ha un peso determinante. È già di per sé narrazione.
Quale rapporto e quali differenze ci sono fra il primo e il secondo volume?
C’è una distanza di circa tre d’anni fra l’uscita del primo e l’uscita del secondo volume, e in questo tempo sono successe molte cose a livello globale. L’evoluzione tecnologica è quasi più sorprendente della fantascienza e credo che se il Volume 1 oggi “regge ancora botta” è perché si rifà smaccatamente a modelli ed estetiche anni ’90 per raccontare i nostri giorni, senza inseguire particolari effetti speciali. Ma lì – come giustamente veniva sottolineato in alcune recensioni uscite dopo la presentazione al Lucca Comics del 2018 – si sentiva la mancanza di Roma, vista troppo e solo dalla periferia. E mancava ancora la musica, la festa, l’aspetto “rivoluzionario” del trovarsi insieme per celebrare questo bellissimo rito liberatorio del ballare. Nel Volume 2 Roma è la coprotagonista spavalda di un quello che si rivela alla fine un vero e proprio “trip” caleidoscopico. E c’è tanta musica, vista nella sua essenza di magia. Ci siamo detti: “è un’autoproduzione, non abbiamo vincoli, non dobbiamo rendere conto a nessuno e allora “scoattiamo” e divertiamoci come bambini!” Ci siamo divertiti molto.
Perché la scelta di ambientare la storia nella Roma del futuro?
Roma perché è a portata di mano e di occhi. Il futuro perché è l’angolazione giusta per fotografare il presente senza fare ricerche storiche. Serviva un futuro vicino come monito per i pericoli imminenti delle tecnocrazie e la scelta è caduta sul 2048 per una serie di coincidenze fortunate: 500 anni dalla nascita di Giordano Bruno, del quale il nostro vecchio Talamo rappresenta una reincarnazione; 100 anni dall’introduzione del vinile in formato 33 giri. E poi il ’48 è l’anno dei moti rivoluzionari del Risorgimento, e KM è la storia dell’ultima ribellione letteralmente “umana”.
Che ruolo ha la soundtrack del disco nel raccontare la vicenda di Kimera Mendax?

La musica dei nostri vinili è un completamento fuori sincrono della storia. Kimera Mendax è un fumetto volutamente denso e che richiede probabilmente più letture per cogliere l’infinità di citazioni palesi e di “easter egg” disseminate nelle vignette. La musica ha il potere di guidare e modificare le nostre percezioni, quindi sono convinto che esista una lettura prima e dopo la scoperta e la fruizione di queste tracce con cui grandi artisti di provenienze e sensibilità diverse hanno arricchito il progetto.
Una delle chiavi d’accesso più semplici e potenti ce l’ha regalata Nicoletta (NicoNote, ndr): è l’invito a rimanere noi stessi, a concedersi la libertà di sbagliare senza affidare la nostra vita a un algoritmo. Geniale: parla di errori e sembra quasi stonare in quel passaggio della canzone, poi scatena una vocalità da brividi e ci fa godere, da lì, da quella riacquisita e consapevole umanità, i suoi e nostri “Orizzonti Perfetti”.
NicoNote, cantante e performer autrice del brano “Orizzonti Perfetti”
“Errori, mentre li fai vivi e basta”. Mi ha colpito questa frase che pronunci all’inizio di “Orizzonti Perfetti”. Qual è il significato dell’errore in una società alla costante ricerca della perfezione?
Il brano ha una sua dimensione astratta, post-umana, ma molto umana. Così come tutto il progetto. La natura umana è fallace. A differenza del romanzo, dove la scrittura racconta, quando scrivo non c’è mai veramente un significato preciso. Nella forma-canzone, che è parola insieme al suono, c’è un’enorme percentuale di possibilità e ars combinatorie che fluttuano. Sono suggestioni che la mia voce-canto e la mia immaginazione condividono.
Per me è stato come entrare nella dimensione metropolitana, passata, futura e remota, di una Roma a me cara, che è immaginario mondiale e provinciale al tempo stesso.
Ho pensato ad una voce astratta da titoli di coda, una voce in qualche modo super partes. Una presenza vocale siderale che dall’alto guarda noi, che siamo erronei senza che ne prendiamo atto, e che è parte di tutto allo stesso tempo.
Prendo a spunto un’altra frase del testo, “Io non sono una X tu non sei una Y”. Sembri voler dire che l’essere umano non può essere ridotto a una variabile.
Per scrivere questa song ho lavorato su un umore globale di Kimera Mendax 2. C’è la suggestione dell’ ambiente urbano, Roma sempre presente. Ho immaginato una voce astratta che si stagliasse nel vuoto pneumatico di questa città nel 2048, dopo l’esplosione finale. Questa voce è saggia, è semplice, è normale, ma è fuori dal tempo. La frase sulla X e la Y si collega a un’altra, pronunciata da Talamo nel finale, che dice: “Il bello quando ci si sforza di vivere senza consegnare la propria esistenza a un algoritmo, è proprio questo: c’è spazio per la scoperta, la sorpresa…la follia…” (cifr. Capitolo 4- Reverse Universe.)
In questo senso la voce dice : “Io” non sono una variabile del tuo schema, semmai sono una variabile impazzita.
In fondo è la capacità di rimanere umani, ricordandoci che l’umanità passa attraverso il corpo che non si piega all’algoritmo. Ovviamente siamo nello spazio della song, dell’immaginazione e della follia in cui tutto è possibile.
Se vuoi è una riflessione che si collega anche ai generi musicali. Io, in quanto artista eclettica e trasversale, non mi inserisco in nessuna casella. Anzi mi dà un senso di claustrofobia questo voler continuamente far riferimento ai generi musicali.
Penso che l’errore sia fondamentale nella società performante in cui viviamo. Io vengo da un’estetica warholiana, post punk e new wave. Nella vita, e non solo nell’estetica, sono sempre stata immersa nella fluxus situazionista del riot. Quindi per me stridere con il presente in cui mi colloco, essere sempre un po’ fuori posto, è un imperativo, nonché il mio modo di incidere a livello politico. In questa fase, sono molto interessata dalle espressioni beautiful looser, fuori da ciò che è mainstream. Tutta questa perfezione e performatività mi annoia terribilmente, non è per niente sexy.
Mi interessa quando c’è qualcosa fuori posto che scarta rispetto a ciò che il mondo si aspetterebbe. La realtà ha tante facce e per me, in questo momento, è molto importante saper guardare dietro quel velo di perfezione.
Quindi a cosa si riferiscono sono gli “orizzonti perfetti”?
A tutto e a nulla, come sempre. La song arriva dopo la grande esplosione ed è un po’ a chiusura di questa saga. Gli orizzonti perfetti ce li costruiamo noi, in un certo senso, con l’immaginazione, il desiderio e la tenacia di restare con cuori che battono. In parte sono solo un’illusione, però, se non segui il tuo sogno, non fai dei balzi in avanti. Sono due parole che sono arrivate nel flusso del lavoro, come dedica alla storia e ai disegni bellissimi di Kimera Mendax.
Il concetto di errore, se vogliamo, si sposa con quello di improvvisazione che è centrale nel tuo lavoro “Limbo Session”. L’improvvisazione è l’esaltazione del qui e ora?
Il lavoro con le Limbo Session ha un’altra cifra e un altro mood rispetto a quello per Kimera Mendax. Le Limbo Session hanno radici nella mia storia clubbing, quando dal ’99 al 2006 ho iniziato a farle come opening al Morphine. Il nome richiama a qualcosa di indefinito proprio perché già allora facevo improvvisazione totale con diversi musicisti, di solito elettronici. Erano improvvisazioni in cui, quasi senza essere vista, diventavo io stessa strumento musicale con la mia voce. Non cantavo su un palco, ma fungevo da tappezzeria sonora, annullando completamente l’aspetto performativo della fanfara, del narcisismo e dell’ego.
Quello che per me era molto importante era avvertire l’emozione delle persone che improvvisamente scoprivano che ero io quella voce. La chiave per me era proprio azzerare il livello tra ascoltare e ascoltante, tra cantante e musicista e poi mi divertivo tantissimo a improvvisare in questi mondi ambient, trip hop, dronici e research.
Questa cifra così situazionista l’ho poi sviluppata con vari musicisti rendendola un’ora e mezza di improvvisazione radicale, anche nello spazio. Quello dello spazio e del clima è un elemento importante perché a seconda dei musicisti e del tipo di persone presenti, si creano delle energie umane molto diverse.
Ovviamente negli anni, oltre a improvvisare testi miei, ho iniziato a portare con me il mio taccuino con testi di Ginsberg, Wallace Stevens, Amelia Rosselli e altri. A seconda del periodo mi porto delle ossessioni letterarie per attingere all’istante a brandelli di testo. Col tempo Limbo Session è diventato sempre di più un progetto frontale e performativo, ma sempre con questa libertà radicale di lasciare le imperfezioni e gli errori, che è proprio la chiave di Limbo Session. A seguito del primo volume, si farà un volume 2 proprio per restituire questo progetto in movimento su cui, ad oggi, si sono sedimentate tutta una serie di esperienze, attraversate nel mio percorso artistico.
Gli algoritmi, di cui si parla anche in Kimera Mendax, vogliono togliere la componente dell’imperfezione e con essa la libertà. Che ruolo hanno l’arte e gli artisti nel cambiamento culturale?
Siamo tutti collegati e siamo tutti interdipendenti. Il mondo non è fatto a compartimenti stagni. Come artista, ciò che mi interessa è manifestarmi, con tutta me stessa.
Non è una scelta, è un richiamo e un imperativo che io ho sempre avuto e che non ha una vera ragione.
È un viaggio di trasmissione, di comunicazione e di condivisione, di mondi che sono da qualche parte dentro di me e che io come artista ho il dovere di fare emergere. Per me non è interessante riproporre sempre le stesse cose, ma sviluppare ed evolvere. Non è ciò che il sistema mi chiede, ma non posso farne a meno. Rispetto al ruolo dell’artista, io credo fortemente che gli artisti siano come delle antenne. In questo senso però viene richiesta loro una forte ricerca e sensibilità nell’evolvere, nell’andare a scandagliare e non a riproporre l’ovvio e il déjà vu totale e continuo. Trovo che sia fondamentale continuare a porsi delle domande, anche senza riuscire a dare delle risposte. Se incontro un artista, ne subisco la fascinazione quando mi pone nuove domande che non avevo immaginato.
Personalmente quando incontro qualcuno che è colpito da quello che faccio, sono soddisfatta anche se non lo ha capito fino in fondo. Anzi, forse è proprio questo spazio di ‘apertura’ indefinito, ciò che mi interessa suscitare in chi ascolta. Forse.