Jaren: prima di giudicare, ascoltateci

Jaren: prima di giudicare, ascoltateci

Jaren è il punto di incontro fra Alessandro Sensini e Carlo Battistini (già Calma) con Gianni Tombesi. Dopo aver conquistato e fatto ballare il pubblico del FAT FAT FAT di qualche anno fa, i tre si sono chiusi in studio per registrare il loro primo album. Quest’intervista è stata l’occasione per farli parlare di “Don’t Judge, Listen” uscito il 3 marzo sull’etichetta di Lugo Flexi Cuts.

Per alcuni suonerà come un mettere le mani avanti, ma per i Jaren Don’t Judge, Listen” è un manifesto dietro il quale si nasconde anche una sana dose di leggerezza. Sia chiaro, il loro primo album è frutto di un lavoro lungo e meticoloso in cui l’esperienza di tre musicisti con anni di background diversi si sente eccome. “Don’t Judge, Listen” ci indica una direzione coraggiosa: il desiderio di aprirsi al nuovo e alla contaminazione, senza dimenticare le proprie “radici” (il significato della parola indiana Jaren) e senza avere paura delle categorie o di facili giudizi.

Jaren: prima di giudicare, ascoltateci
I Jaren

Dove si sono incontrate le vostre strade?

Carlo: Ci siamo trovati tutti e tre a Bologna, pur essendo originari di Macerata nelle Marche. Alessandro ha diversi anni di conservatorio alle spalle e sia io che lui veniamo dal mondo del club. Con in nostro progetto Calma abbiamo iniziato a fare i primi dj set a Bologna, dopodiché ci siamo dedicati alla produzione. Gianni è subentrato dopo. Lui viene dal mondo delle band, ma è sempre stato affascinato dalla figura del DJ. Abbiamo provato a fare qualcosa tutti e tre insieme, per gioco, ed è venuto bene. Ci siamo rimessi in gioco rispetto a cosa volesse dire per noi scrivere musica.

Alessandro: Io e Carlo ci siamo approcciati alla musica quando avevamo 16/17 anni. All’inizio eravamo appassionatissimi di hip-hop, poi abbiamo iniziato a suonare Drum’n’Bass e infine ci siamo appassionati della cassa dritta. Da lì è iniziato un amore che va avanti ormai da tanti anni e che ritroviamo anche nell’album “Don’t Judge, Listen”. Quello che ci caratterizza è proprio l’unione della melodia (normalmente opera di Gianni) con una ritmica incalzante che è quella che contraddistingue le produzioni mie e di Carlo, che ci fa saltare e ballare e a cui difficilmente rinunciamo.

Quando avete iniziato a fare le prime prove in studio?

Alessandro: Era il 2018 e le prime cose che suonavamo erano principalmente dei groove lenti o loop spesso campionati che registravamo dalle prove in studio. Non c’erano degli arrangiamenti, delle tracce complete, ma delle jam session molto lunghe da cui poi abbiamo estratto parte del materiale confluito nell’album. Ci siamo focalizzati sulla produzione di album vero e proprio dopo esserci esibiti dal vivo al FatFatFat Festival. L’intero lavoro è durato un paio d’anni.

“Don’t Judge, Listen” non suona all’ascolto come un album elettronico in senso stretto. Ci sono dei generi o dei riferimenti musicali a cui avete attinto?

Gianni: È una domanda molto complessa. Personalmente io vengo dal brit-pop e dal pop in generale quindi un genere che abbraccia vari gruppi, dai Beatles ai Gorillaz, che hanno una tipica melodia catchy, ma che spesso evolve in linee melodiche più particolari. Certi gruppi per noi possono essere un punto di incontro. Diciamo che il genere è difficile da definire e non siamo partiti da uno stile ben preciso.
Si tratta di due mondi separati, di due strade appunto, che si sono incontrati e dalla prima all’ultima traccia l’album tocca stili e generi diversi.

Alessandro: anche io faccio fatica a definire con un genere preciso un album come questo. L’elemento ricorrente in quasi tutte le tracce è il mix fra una ritmica molto presente, strutturata e poderosa, essenziale nella musica “da ballo”, ed elementi melodici e orecchiabili, tipici degli ambienti pop.

Mi sembra di capire che dietro questo album ci sia stato un grande lavoro di scoperta dei vostri reciproci mondi di provenienza.

Alessandro: sì, la contaminazione è stata enorme e ci siamo studiati a lungo. Per trovare il nostro binario ci abbiamo messo tempo, ma personalmente è quello che mi emoziona di più. Mi capita spesso di pensare che da solo non sarei mai riuscito a fare un lavoro del genere, invece con gli elementi di tutti vengono fuori cose impensabili. È bellissimo.

Il periodo di gestazione dell’album è coinciso con la pandemia. Il vostro lavoro ne è stato influenzato?

Carlo: purtroppo durante la pandemia non abbiamo potuto utilizzare lo studio. Noi eravamo abituati a trovarci lì per lavorare e smanettare sulle macchine e strumentazioni. Sicuramente la distanza dovuta al Covid ha allungato moltissimo quei processi decisionali che in studio normalmente sono più immediati. Ci siamo dovuti arrangiare, con micro studi in casa, fortunatamente Gianni ha molti strumenti anche in casa. La parte più difficile è stata provare a metterci d’accordo tramite innumerevoli messaggi vocali o condivisione delle take su Drive.

Alessandro: il grosso dell’album era bene o male definito già prima del blocco. Durante la pandemia abbiamo fatto tanto tuning e anziché metterci qualche mese c’è voluto qualche anno. Ovviamente è stato un periodo triste perché fare musica così non è divertente e rende tutto più complicato e lungo.

Gianni: penso che tutto questo tempo abbia permesso all’album di avere un senso. Ci voleva. Se, per assurdo, non avessimo avuto questo stop sarebbe venuto fuori un suono più indefinito. Invece così abbiamo scolpito il nostro sound in maniera precisa, anche perchè abbiamo rifatto i mix di ciascuna traccia almeno dieci volte. La prossima volta penso che il lavoro sarà più rapido perché sappiamo già chi siamo e dove vogliamo andare. Per assurdo quel periodo ci ha fatto molto bene.

C’è un significato particolare dietro al titolo del vostro album?

Carlo: onestamente avevamo un po’ di ansia ad uscire con un album del genere. Abbiamo tante persone che ci conoscono in maniera totalmente diversa dal punto di vista musicale. Abbiamo preso in considerazione diversi titoli e alla fine abbiamo optato per questo anche per prenderci meno sul serio! Se proprio devi giudicarci, fallo dopo aver ascoltato l’intero album.

Alessandro: il titolo è anche un manifesto per noi. Penso che oggi si giudici troppo la musica (come tutto il resto) con l’obiettivo di etichettarla e catalogarla a tutti i costi e come un artista si allontana dal binario viene criticato. È stata quindi anche l’occasione per invitare gli ascoltatori a sospendere il giudizio. Se piace bene altrimenti avranno semplicemente ascoltato una cosa diversa dal solito. È un album che spazia tanto e che per questo crediamo possa offrire diversi elementi apprezzabili. Crediamo che la diversità sia un valore.

I Jaren

Com’è nata la collaborazione con Flexi Cuts, l’etichetta di Simone Guerra?

Alessandro: conosciamo Simone da tanto tempo. Tra l’altro qualche mese fa è uscito sempre su Flexi CutsVelvet series n.2” che contiene anche un nostro brano come Calma. Quando gli abbiamo fatto ascoltare l’album gli è piaciuto molto anche se non aveva capito bene come incasellarlo. Rientra in una direzione che Simone ha deciso di intraprendere ultimamente con l’etichetta, spaziando maggiormente a livello di sonorità. Per noi è il primo album, quindi è già un successo aver trovato un’etichetta che abbia creduto in noi.

Mi pare di capire che siate più affezionati a un tipo di produzione analogico, che strumenti avete utilizzato per realizzare l’album?

Alessandro: assolutamente sì, motivo per cui abbiamo sofferto molto durante la pandemia, perché per quanto si possa provare a riprodurre uno studio in casa, non è la stessa cosa.

Gianni: abbiamo usato diversi strumenti: electric piano Yamaha CP 70 e diversi sintetizzatori fra cui il Prophet 12, il Roland Jupiter-6, il Prophet Rev2 8 e molti altri. Gran parte delle melodie escono dal CP 70 che ha un suono che noi amiamo, molto anni ’70, ricorda i dischi di Lucio Dalla o addirittura gli ABBA. Per esempio il riff che si sente all’inizio della traccia Mojo ha un suono estremamente particolare, sembra quasi una chitarra elettrica.

Siete nati esibendovi dal vivo, poi avete portato il vostro live nell’album, adesso avete intenzione di portare l’album dal vivo?

Carlo: ci piacerebbe molto portarlo in giro. Quando lo abbiamo suonato al FatFatFat è stato quasi per gioco e non ci aspettavamo un riscontro così positivo. Abbiamo diverse idee legate al live, magari andando anche a stravolgere alcune tracce, per aggiungere una componente più “danzereccia” alla performance.

Alessandro: Siamo al lavoro per trovare delle date e lavorare con uno scopo preciso. Tra l’altro siamo una band, ma ci consideriamo anche più un collettivo. Siamo molto aperti rispetto a tutto quello che può influenzare artisticamente il nostro progetto, l’album infatti vede già il contributo di altre persone che figurano nei credits e stiamo valutando di estendere il gruppo anche per i live.

Gianni: tutte le persone e gli amici che hanno contribuito al lavoro sono stati fondamentali per la riuscita dell’album, il concetto di collaborazione per noi è estremamente importante.

Lo studio dei Jaren
Jaren: prima di giudicarci, ascoltateci
Gli strumenti del cuore dei Jaren

“Don’t Judge, Listen” è uscito il 3 marzo su Flexi Cuts. Ascoltalo e scaricalo qui.

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