Frescura di inizio estate!

Ovvio, il titolo è soltanto un modo (forse del tutto inutile) di catturare l’interesse di qualche accaldato lettore perchè ad oggi, scoccato l’inizio di luglio, il fresco – per lo meno in città – è un’utopia, una chimera che può venirci a far visita in sogno fra un appiccicoso pisolino e l’altro, ma che, una volta ridestati in una pozza umidiccia, ci abbandona dandosela a gambe!

Digressioni meteorologiche superflue a parte, è da un po’ che da queste parti si batte la fiacca in termini di articoli e (si spera) utili dritte musicofile. Segno forse (sarebbe grave questo) che anche da parte di chi scrive si è assistito, negli ultimi mesi, a un drastico calo nel monte ore giornaliero, settimanale, mensile ecc. di ascolti musicali. Attività questa invece, eccelsa e nobile, che andrebbe coltivata con cura come un fiore delicato o un figlio amato, ma che, tuttavia, risente ciclicamente – ahimè – sia delle contingenze mondane che di fisiologici e personalissimi (dunque inattaccabili) momenti “di magra” che riducono per un lasso di tempo variabile e auspicabilmente breve quell’impeto, quel furor di ascolto che, in altri periodi, si impossessa di noi, stile demoniaco morbo, assurgendo a nostra attività preferita sui treni, gli autobus, gli uffici e i water di tutto il mondo.

Ebbene, è con rinnovato e ritrovato entusiasmo che scriverò nelle prossime righe di e in esse rimanderò a L’Ascolto di una manciata di pezzi, recentemente usciti e giunti prima al mio cuore e poi alle mie orecchie. Sì, dico al cuore, perchè all’aprirsi di una stagione festivalosa per molti, ma che, almeno per quanto riguarda, non dovrebbe vedermi partecipe ad alcuno, o quasi, degli eventi musicali sparsi per la penisola o il continente, ecco, all’aprirsi di questa stagione estiva hanno iniziato ad arrivarmi una sfilza di notifiche annuncianti nuovi brani o addirittura album di gente che io considero amica.

Sia chiaro che loro non conoscono me e io non avrei alcun diritto effettivo a definirili amici; eppure, sono ben certo che chiunque leggendo si identifichi per un attimo nella categoria (vasta, occhio) di “amante della musica” e, aggiungo, di musica almeno un pochino non-mainstream, avrà esperito quel senso di platonica e amicale, appunto, vicinanza a quei nomi, spesso storpiati, apparsi a ripetizione sugli schermi di lettori mp3, piattaforme di straming digitale e così via definibili altresì come i nostri “artisti prefe” <3.

Partiamo dall’ultimo in termini di arrivo alle mie attenzioni: Alessandro Cortini, in arte Sonoio, il quale ha da poche ore annunciato l’uscita di una nuova fatica che vedrà la luce verso la fine di settembre. Lui è un oramai non più di primo pelo produttore che dire produttore suona riduttivo visto che è una specie di guru e maestro delle macchine tipo sintetizzatori e compagnia al punto da aver, tra i vari progetti in curriculum, anche fatto da tastierista ai Nine Inch Nails che, pur non essendo un gruppo a me noto, non devono proprio essere i primi che passano. Emiliano lui, ama pubblicare album contenenti tracce di ambient profonda e ricercata con titoli in italiano proprio come AMORE AMARO che anticipa, per l’appunto, il suo prossimo album VOLUME MASSIMO.

La mia terra adottiva, e non solo la mia forse, musicalmente parlando è l’Inghilterra. Quel “UK” davanti o dopo il nome di un artista è già per me un punto in più all’esame, un valore aggiunto ed è per questo che molti dei miei preferiti in assoluto vengono proprio dalla terra britannica.

Alex Banks infatti è inglese, il che forse lo si poteva già dedurre dal nome, e, anche se non è proprio nelle posizioni più in alto della mia (inutilissima) classifica personale è, di fatto, un artista che stimo molto e a cui sono, da anni che lo conosco, piuttosto affezionato. Mi dà un po’ l’idea di artista maledetto, un po’ depre all’inglese appunto, e non solo per i pezzi che non sono proprio degli inni alla gioia, ma anche per il modo, l’attitude potrei dire, di fare l’artista. Non uno di quelli che ci mette la faccia ovunque, o che produce un pezzo dopo l’altro o che fa il manager della sua musica. No, lui produce poco e, spesso, lo fa collaborando con artisti di un certo calibro (Robot Koch, Max Cooper, Modeselektor) che lo hanno, evidentemente, in una discreta considerazione. é proprio Max Cooper ad invitarlo sulla sua nuova label Mesh su cui, un mesetto fa, è uscito “Beneath The Surface”, un album molto techno, ma in cui, attenzione, il club non è il destinatario designato perchè tutto, dalle ritmiche – spesso scomposte e irregolari – all’enorme lavoro di cesello intorno gioca per renderlo un album prima di tutto da ascoltare, immergendovisi. Poi, chiaro, è spendibilissimo in pista, magari una un po’ ricercata, dove difficilmente i copri rimarranno indifferenti ai potenti colpi di cassa rave-friendly, ai suoni un po’ garage che, mescolandosi ai pad elettronici, lasciano a più riprese col fiato sospeso e con la voglia di tornare indietro a ripescare quell’attacco.

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Ci torniamo fra poco in Inghilterra perchè c’è un po’ di richiamo che arriva dalla terra italica e che avverto proprio il bisogno di condividere. C’è un producer che ha scelto un nome molto buffo (Go Dugong) e che ha scelto, solo in  in parte forse, a quale stile appartenere nel mare magno dell’elettronica contemporanea. Che poi, appartenere è importante, ma, soprattutto qualora si parli di stili, generi e così via, arriva facile il pericolo di etichettature e qua nessuno le vuole, specie di ‘sti tempi. E allora benvengano la poliedricità, le mille sfaccettature e i suoni variegati purchè, ed è questo un caso sublime, il prodotto sia qualitativamente rilevante. Si parlava di mare e infatti parla anche un po’ di mare TRNT: 4 lettere per quattro pezzi. 4 lettere che stanno per Taranto o Taranta, chissà, fattostà che l’una è la città natale di Giulio Fonseca in arte Go Dugong, appunto, l’altra è una danza rituale pugliese che affonda le sue radici in una antichissima tradizione fra il terapeutico e lo spirituale. A entrambe Giulio ha deciso di dedicare questo lavoro di musica e ricerca che modernizza la tradizione e butta un po’ di afose reminiscenze rurali dentro a caldi ritmi estivi.

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Mentre scrivevo mi sono reso conto che le “dritte” in questo articolo arrivano, a ben vedere, solo dal Regno Unito e dall’Italia il che dovrebbe farvi intuire la limitatezza culturale e la reiterazione ossessiva di chi scrive, ma, ammettendo che i ben pochi lettori saranno clementi e sorprendentemente interessati al contenuto, ecco che procedo scrivendo quel poco necessario su un artista che anche se vivete in una baita di montagna difficilmente non conoscerete: Bonobo. Lui che se volete quel sound di sottofondo perfetto in qualsiasi situazione di pre-festa basta che ne mettete la riproduzione casuale su qualche piattaforma, lui che un paio d’anni fa ha fatto un album dal titolo super attuale (Migration) che fra collab importanti e sfaccettate e pezzi più ballabili e altri meno lo ha ri-portato alla ribalta tanto che per andare a sentirlo da qualche parte l’anno scorso bisognava essere piuttosto celeri nell’acquisto dei biglietti. Proprio Bonobo ha condiviso da poco una bella traccia intitolata “Linked” che richiama un po’ il suo ultimo lavoro e consiste in un bel regalino per i tanti dj in giro per il mondo che avranno una freccia in più al loro arco in vista dei dj set estivi.

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Sempre Uk, stavolta sponda Manchester, è la terra natale di un altro grande artista, Floating Points, che qualche giorno fa ha buttato fuori una traccia molto club che ne anticipa il prossimo EP in uscita nella prima metà di luglio. Sam Shepherd è un po’ il nerd dell’elettronica ad alti livelli. Occhialoni, faccia pulita e laurea in neuroscienze alle spalle sa, come in LesAlpx, anche come picchiare a dovere laddove la maggior parte delle sue produzioni (da Elaenia a Reflections) risultano essere più dei trip musicheggianti frutto, lo si coglie al primo ascolto, di intenso lavoro di studio e ricerca sonora.

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Per concludere torniamo nel Belpaese e torniamo da uno che personalmente consiglierei a tutti gli amanti dell’elettronica e non solo di consocere, come artista e anche come uomo. Indian Wells incarna l’ideale di artista che con passione e umiltà porta avanti il suo progetto, in primis per sè, per il suo equilibrio mentale e spirituale, e poi, successivamente, per la sfilza di gente che lo ama perchè ama, con ogni sua traccia, perdersi fra le foreste e le montagne della sua Basilicata attraverso sognanti melodie e suoni delicati. Il suo ultimo pezzo 0629 è una serenata per una occasione speciale e, con tutta la finezza che questo musicista sa portare, chiude questa lunga serie di parole che, spero, siano contorno non troppo pesante per la bella musica che accompagano.

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