Il 24 settembre, fra i boschi intorno a Nocera Inferiore, si è svolta la sesta edizione di Bacchanalia Fest. Il festival campano (di cui avevamo dato delle anticipazioni qui) è tornato ad abbracciare il proprio pubblico, dopo tre anni di stop dovuto alla pandemia. Tanta voglia di riprendere da dove si era lasciato, di tornare a ballare e godersi degli spettacoli di altissima qualità in una cornice magica, unite alla grande dedizione e a una cura dei dettagli rara da parte dell’organizzazione, hanno reso l’ultima edizione di Bacchanalia Fest un’esperienza straordinaria, che sarà difficile dimenticare.
Il titolo scelto per questo report, scritto a qualche giorno di distanza dal Bacchanalia, chiama subito in gioco un tema molto importante che non va sottovalutato quando si parla di eventi legati a un certo tipo di musica. Che sia un festival, un’agenzia di produzione eventi o un club, diffondere la musica elettronica, oggi, in Italia – almeno senza grossi investitori o sponsor alle spalle – è maledettamente difficile. Un elemento questo che va tenuto in grande considerazione perché un festival, nel caso in questione, tanto più se si tratta di una realtà “di provincia” è, prima di tutto, reso possibile da un gruppo di persone che ci credono, facendo un atto di coraggio e passione.
Una doverosa premessa che va fatta per dare, ancora prima di raccontare questa bellissima edizione, onore al merito a tutta la squadra di Bacchanalia Fest che è riuscita a portare a casa quello che, già di per sé e senza guardare ai “numeri”, è un traguardo eccezionale. E no, non si tratta delle solite parole di circostanza scritte per incensare qualsiasi manifestazione con un generico “che figo!”. La soddisfazione di trovarsi “nel bosco” era palpabile e, cosa molto bella, condivisa tra il pubblico e gli artisti.

Partiamo proprio dalla location: un bosco rinchiuso fra le colline che ha letteralmente cambiato forma dal pomeriggio alla sera, trasformandosi nella venue perfetta sia per ballare sotto il palco, che per esplorare lo spazio naturale tra le varie installazioni e spettacoli o, più semplicemente, per chillarsi un po’ in disparte. Il palco è forse la vera peculiarità del festival: posizionato al centro dello spazio e dotato di altoparlanti a 360° ha, di fatto, contribuito ad aumentare la percezione da parte dei partecipanti di trovarsi in più ambienti contemporaneamente. Una sorta di turnazione obbligata intorno al palco centrale che ha reso speciale la fruizione di ciascun set, già molto diversi l’uno dall’altro, portando con sé anche una variazione del clima emotivo, ora più rilassato, ora decisamente più vibrante.
I primi a esibirsi sono stati Arturo Camerlengo e Nikeninja. Due che provengono da mondi diversi, seppur non così distanti. Più vicino il primo al campo delle registrazioni ambientali e dell’avantgarde sperimentale, il secondo ad accelerazionismi di gusto trance e all’urban. Insieme hanno proposto un set breve, ma bello denso, costruito con tracce realizzate ad hoc per l’occasione. Field recording distorti, drum ruvide ed evoluzioni melodiche accompagnate da un sistema modulare hanno dato vita a un live veramente di alto livello, guidando i primi astanti in un’atmosfera che si faceva sempre più suggestiva.

Fra installazioni in stile classico, luci di diverso colore ad illuminare gli alberi, giocolieri, workshop e una pittrice all’opera, sul palco è salito K-Conjog (l’alias del napoletano Fabrizio Somma) che, in un’intervista di un mesetto fa, si augurava di farci divertire col suo set, contemplando anche dei momenti riflessivi. Le promesse sono state mantenute. K-Conjog ha dimostrato di essere un vero performer: uno che conosce bene il sudore della musica “suonata” e che ama mettersi in gioco quando è sul palco, senza nascondersi dietro alle macchine. L’elemento più coinvolgente è stata la voce, manipolata attraverso un vocoder, che, unita a dei visual molto immersivi, ha viaggiato su un’ora di arpeggi, nervature electro-pop e improvvise accelerazioni dei BPM. Un live ipnotico durante cui il pubblico ha ballato sfidando la temperatura che, calato ormai il sole, iniziava a scendere.

Verso le 23.00 il bosco era già decisamente popolato e, a sottolineare l’ambientazione da sogno, sono apparsi attori e ballerine che, vestiti in tuniche bianche, hanno dato vita a una coreografia itinerante fra gli alberi. Un’atmosfera incantata che ha contribuito a rendere ancora più piacevole il set successivo, quello di Indian Wells. Vecchia conoscenza di Bacchanalia Fest, Pietro Iannuzzi ha, negli ultimi anni, accresciuto la sua fama al di fuori dei confini nazionali tanto da essere, ad oggi, uno degli artisti più apprezzati all’estero nel panorama elettronico-idm. E Indian Wells ha fatto ciò che gli riesce meglio: emozionare il pubblico con un nuovo show tratto dal suo ultimo album “No One Really Listens to Oscillators”. Un live che si allontana dalle sognanti melodie in 4/4 del precedente album per spostarsi in territori più oscuri e rarefatti, senza mai perdere la componente estatica che caratterizza i suoi lavori. La fusione fra i modulari guidati da Pietro e la batteria di Andrea Rizzo ha creato un’atmosfera di rapita infatuazione, facendo scivolare il bosco nella dimensione notturna.
Il cosiddetto peak time era affidato a LOOR, l’artista intorno a cui aleggiava la maggiore, e comprensibile, curiosità. Dietro questo termine intriso di significati animisti, si cela infatti niente meno che Gwil Sainsbury, ex chitarrista e bassista dei celeberrimi Alt-J. Già immaginare uno che, fino a qualche anno fa, calcava i palchi più importanti del mondo, esibirsi in un piccolo festival del sud Italia può sembrare per certi versi impensabile. Eppure, chiacchierare con Gwil nelle ore prima della sua esibizione e vederlo ballare sotto il palco durante praticamente tutti i set è stata una straordinaria, oltreché per nulla scontata, dimostrazione di genuinità e semplicità. Pur essendo un progetto tutto sommato giovane, LOOR ha saputo tenere palco e (quella che ormai era diventata una discreta) folla con maturità e grande coinvolgimento. Il suo live a Bacchanalia è stata l’occasione per presentare i pezzi del suo ultimo Ep (“Erosions”) uscito proprio il giorno prima. Un concentrato di techno melodica e psichedelia, senza disdegnare momenti maggiormente sospesi né, tanto meno, drop decisi che dal pubblico è stato visibilmente molto gradito.

La platea, ormai ampiamente scaldata, e anche parecchio variegata in termini anagrafici si è quindi vista letteralmente travolta dai due dj set conclusivi. Prima Alleles, in formazione ridotta con solo uno dei due membri sul palco, ha sganciato un’ora di bombe all’insegna della techno più dritta ed euforica. A seguire un travolgente b3b che ha saputo rinfrancare gli animi e le membra di chi, come chi scrive, stava iniziando ad accusare le fatiche della giornata e il freddo. Beh, l’ultimo dj set è stato uno spettacolo con la gente che ballava su tutti i lati del palco trascinata dalla Drum’n’Bass di Meldon, Wooga e Nukleus. Un plauso al primo, oltre che per i dischi, anche per essere andato a pescare in terra slovena i due membri del collettivo Bass Fighters e averli portati per la prima volta in Italia. Insieme hanno dato una dimostrazione tangibile di quanto un genere, ingiustamente, snobbato dalle nostre parti – salvo alcune eccezioni – porti con sé un’energia e uno spirito di coesione che sarebbe bello vedere più spesso nei festival italiani.
Con la speranza che le parole e gli scatti che le accompagnano abbiano permesso a chi legge di calarsi nella realtà di Bacchanalia Fest, l’invito, per chi non c’è stato, è di annotare il nome di questo piccolo gioiello nostrano e di partecipare all’edizione dell’anno prossimo. Siamo sicuri che le premesse perché questo festival cresca ancora di più in termini di numeri e visibilità ci sono tutte e l’augurio è senz’altro questo. Sarebbe stato bello vedere ancora più partecipanti a un’edizione così importante e sentita dopo gli anni di stop, ma, complici anche lo slittamento rispetto alla data iniziale (per motivi tecnici) e il rapido calo delle temperature, il numero di persone che hanno partecipato è stato non altissimo, ma comunque giusto perchè si respirasse un bel clima. Sicuramente si è trattata di una bella soddisfazione per l’organizzazione che, è il caso di ripeterlo, ha riposto grandissima attenzione in ogni aspetto (logistico e non) e ha trasmesso un senso di familiarità e di accoglienza difficile da scrollarsi anche l’indomani e nei giorni successivi.

Concludendo, quello di Bacchanalia Fest è un esempio per le tante persone che, a vario titolo, gravitano intorno al satellite della musica elettronica in Italia. Avere la fortuna di trascorrere le ore prima del festival in giro per la venue permette non solo di chiacchierare con gli artisti, ma anche di osservare i volti (spesso visibilmente stanchi) di chi sta lavorando da giorni e settimane per rendere quell’esperienza unica per il proprio pubblico. Sguardi che lasciano trasparire sì eccitazione, ma anche una fatica che non è solo fisica, ma, soprattutto, mentale. Senza aprire discorsi interminabili, l’auspicio per il futuro del nostro paese è che le istituzioni, regionali o locali, e le persone che rappresentano la filiera e non si rendano sempre più conto di come realtà come questa siano, oltre all’indubbio valore culturale che portano con sé, anche dei motori preziosi per il turismo dei luoghi che le ospitano, specie se lontano dai grandi centri urbani. Dietro ci sono persone appassionate, forse un po’ matte, che investono tutto in questo genere di eventi, anche quando le condizioni non sono semplici. Ecco, un sincero grazie alle persone di Bacchanalia Fest per essere andate avanti con tenacia nonostante tutto e per aver reso possibile tutto ciò. Questa sesta edizione è, soprattutto, per voi. Ecco perché ne vale la pena.