Quattro chiacchiere con Mariachiara, in arte Katatonic Silentio, dove l’artista sonora, DJ, live performer e ricercatrice indipendente si racconta, partendo dal suo approccio unico alla produzione, passando per i suoi ultimi lavori, fino ai progetti futuri.
Mariachiara è una sound artist, DJ, live performer e ricercatrice indipendente con base a
Milano. Con il moniker Katatonic Silentio esplora i campi della musica elettronica sperimentale, IDM e
downtempo con un approccio unico al sound design, pubblicando diversi EP, LP e Remix su etichette
quali Ilian Tape, Bristol NormCore, Youth, ArteTetra, Communion, Haunter Records, Biodiversità Records,
Beat Machine Records, Mother’s Finest, Blame Rec e One Instrument.
Oltre a perseguire una carriera come DJ dal 2006, e a specializzarsi in tecniche di produzione musicale e
sound design, Mariachiara è anche attiva come ricercatrice indipendente: la sua pratica converge a metà
strada tra arti sonore e performative.
È curatrice del programma mensile Expanded Radio Research Unit su Radio Raheem: una piattaforma
artistica indipendente per opere innovative all’intersezione tra musica, spoken words, performance e
suoni per sfidare i limiti del mezzo radiofonico.
Partiamo dalla fine, ovvero dal tuo ultimo album ‘Tabula Rasa’ uscito ad aprile su Ilian Tape.
L’uscita su Ilian Tape è stata una cosa abbastanza inaspettata, più che altro è arrivata dal nulla. Mi hanno contattato, tramite un amico in comune, chiedendomi se avessi della musica nuova e io avevo questa raccolta di 7 brani che secondo me poteva funzionare come un album. Erano delle tracce nate durante il primo lockdown, in parte a Napoli e un po’ a Milano e che stavano parcheggiate là perché di un genere un po’ diverso da quello degli ultimi due dischi, diciamo con sonorità un po’ più ambient e meno graffianti del solito. Ilian Tape è un’etichetta che esiste da 14-15 anni ed è una bella soddisfazione essere arrivata là, oltretutto in una squadra di soli uomini.
A proposito di donne e produttrici, il 18 giugno dividerai lo stage del RoBOt Festival, fra gli altri, con Caterina Barbieri.
Si, sto ancora lavorando al live perché il primo che avevo preparato, quello per lo scorso ottobre, era improntato più su una situazione da ballo. Adesso con le varie restrizioni e divieti, ho dovuto rielaborarlo: tendenzialmente la prima parte è un po’ più ambient e immersiva, mentre la seconda un po’ più “mossa”. Per quanto riguarda Caterina, c’è molta stima nei suoi confronti, oltretutto l’ho sentita live numerose volte. Lo stesso giorno al RoBOt suonerà anche Tadleeh, anche lei è decisamente in gamba. Sono entusiasta di condividere il palco con loro; in generale pero’ sono anche agitata perché è il primo live con pubblico dopo molto tempo.
Com’è la sensazione?
Tipo che stanotte non ho dormito! Durante il lungo stop mi sono esibita in due live ma erano entrambi senza pubblico e in streaming. Da un lato ero più rilassata, perché sembrava più una prova generale che un live. Ma dall’altro stare da sola davanti alle camere e senza un minimo di calore ed atmosfera umani mi rendeva più nervosa.
Sul ritorno a suonare davanti a un pubblico ho dei sentimenti contrastanti: non vedo l’ora perché necessito umanamente di quello, ma sono certa avrò mille emozioni che farò fatica a contenere. È forte comunque.
Dopo il RoBOt hai altri live in programma?
Dopo il RoBOt probabilmente ci sarà uno showcase di Ilian Tape a Berlino, poi un live sull’Appennino umbro per Synthonia, una rassegna di musica sperimentale ed elettronica organizzata dal Dancity. Poi qualche altra cosa tra il nord e il centro Italia ancora in fase di definizione.
Credo sia importante avere la libertà di poter fare quello che si vuole senza dover fare le cose perché bisogna per forza farle, magari in un’ottica di mercato o di riconoscimento artistico
Prima di ‘Tabula Rasa’ era uscito Prisoner Of The Self, album che era più legato a un tuo manifesto. Che evoluzione c’è stata, anche dal punto di vista della composizione, fra i due lavori?
Prisoner Of The Self è stato il punto di arrivo un percorso, non solo musicale, legato ad alcuni ragionamenti su precise tematiche provenienti dalla filosofia contemporanea e da studi di teoria critica. Cose che avevo maturato dentro da tempo e volevo comunicare: infatti anche il disco è molto tagliente, deciso, sia a livello di sonorità che a livello di contenuti se leggi il manifesto. E’ una sorta di grido di ribellione, una chiamata alle armi, anzi ai cervelli, mettiamola così.
Oltretutto la scrittura del manifesto è coincisa con il primo lockdown, quindi tutto ciò che era già in divenire è stato ancora più accentuato e accelerato dalle sensazioni (sia positive che negative) di quel periodo. I ragazzi di Bristol NormCore sono stati parte attiva di questo processo di confronto e condivisione, ed effettivamente mi hanno dato carta bianca per un’espressione più che totale.
Tabula Rasa come disco lo sento più maturo, più rilassato. E’ come se avessi processato delle cose sia personalmente sia musicalmente e fossi riuscita a canalizzare le energie in un modo più contemplativo, consapevole e anche più adulto, passami il termine. A livello di sonorità probabilmente appare anche più accessibile.
Il bisogno costante di sperimentare e di uscire dagli schemi per non chiudersi in un unico genere o definizione.
Come avviene il tuo processo creativo?
Dipende, comunque ogni cosa che faccio musicalmente parte dalla sperimentazione. Cerco sempre di arrivare a trovare dei suoni, non dico nuovi perché oggi è veramente difficile, ma che abbiano un certo timbro, una grana, che siano croccanti e che abbiano una pasta sonora di un certo tipo. Sono ossessionata dal sound design. È proprio la maniacalità nel cercare un suono che mi fa stare lì fino a quando quel suono non è come me lo immagino. Posso stare un mese solo sullo snare, è successo. Poi pero’ arriva il momento di concludere. E per fortuna ho un ascendente zodiacale molto pratico che mi riporta con i piedi per terra.
La cosa stupenda, al di là di creare un brano da zero, è proprio la ricerca sonora. Per me quella è la chiave che mi fa andare avanti nel tempo perché sono sempre lì a cercare qualcosa di nuovo e a capire come far evolvere la ricerca, senza fermarsi a fare i dischi e basta.
Trovo anche che sia più divertente creare i suoni da zero, aprire un software, uno strumento programmabile di Ableton, MaxMSP, farci sound design e arrivare a fare il suono voluto. É molto più appagante perché hai un suono tuo, lavorato, con una pasta sonora diversa dai samples standard delle librerie. Certo, ci vuole più tempo e bisogna avere una conoscenza di come funziona il suono e non solo, però secondo me il risultato è impagabile.
Ti ispiri a qualcuno in particolare o hai dei riferimenti personali?
In realtà no, questa è una cosa strana. Voglio dire, ho i miei “milestones” che mi porto dietro da un po’, pero’ quando mi siedo in studio e mi metto a fare della sperimentazione non è che dico: ah adesso provo a fare una cosa tipo quella. In realtà vado proprio a esplorare i suoni e poi va a finire che magari ne ricavo uno che mi ricorda, che so, i The Future Sound Of London e chiaramente la cosa mi fa molto piacere dato che li adoro. La cosa di avere delle reference la facevo molto all’inizio, per esempio quando usavo Ableton le prime volte. Mi servivano delle reference un po’ per capire come erano strutturate le tracce e poi anche per capire quanti e quali suoni c’erano, soprattutto nella techno perché all’inizio arrivavo da lì.
Una volta che ho capito, studiato e sviscerato la struttura della techno pero’ non mi sentivo appagata. Sentivo di non riuscire a tirare fuori niente di nuovo. Quindi mi sono detta che era il momento di iniziare a capire come sperimentare e concretizzare la mia idea di produzione, uscendo un po’ dagli schemi. Credo sia importante avere la libertà di poter fare quello che si vuole senza dover fare le cose perché bisogna per forza farle, magari in un’ottica di mercato o di riconoscimento artistico.
Il mio background è composto anche da studi legati molto al sound design e alla musica sperimentale e concreta (ecco, questi sono dei riferimenti a cui tengo molto) che mi hanno aperto la mente sul modo di concepire e cercare i suoni e sul processo creativo. Quando ho scoperto quei mondi, ho avuto pochi stimoli nel tornare a lavorare su ritmiche standard, diciamo più tradizionali. É anche il motivo per cui per esempio mi ritengo più legata ai software che alle macchine per la produzione: certo, ho le mie macchinette di riferimento, però nel momento in cui si ha la padronanza di un software e lo si sa programmare, non ci sono vincoli di chiusura come accade per esempio in una drum machine tradizionale e trovo che ci sia anche maggiore libertà per spaziare e sperimentare.
Immagino conti anche molto lo stato emotivo in cui ti trovi quando stai producendo.
E’ quasi solo quello per me. L’ultimo disco su Ilian Tape è la traduzione musicale di cose che arrivavano dal lockdown, quindi emotivamente ero sovraccarica. Nello specifico Tabula Rasa, la title track, l’ho fatta una notte a Napoli in cui non riuscivo a dormire e avevo tanti pensieri. Se mi dovessi mettere domani mattina a fare una roba del genere non avrei quella spinta che ho avuto mesi fa perché lì era una condizione proprio di necessità dovermi esprimere. Ci sono giorni in cui mi metto lì e non esce nulla, e giorni in cui riesco a concludere un progetto in due ore perché magari emotivamente ho tanto da dire.
Dalle prime mosse come dj, alla necessità di buttarsi appieno sulla musica e un presente/futuro nell’insegnamento.
Quindi hai sempre fatto musica e continuerai a farla anche in futuro?
Non ho mai smesso da quando ho cominciato a 14 anni a fare la dj a Napoli: mi sono avvicinata in questo modo alla musica per un’esigenza personale. Poi ho studiato, ho fatto una triennale che non c’entrava niente con la musica, ho fatto lavori che c’entravano men che meno con la musica, e altri invece più in linea, ma parallelamente ho sempre continuato a studiare per approfondire il sound design. Ovviamente facendo peripezie ed incastri di vario tipo. Il momento decisivo è stato nel 2019, quando è uscito il primo disco Emotional Gun: lì ho mollato tutto per concentrarmi solo sulla musica, mi sembrava un buon momento. Ho sempre avuto la necessità e la voglia di dedicare alla musica del tempo importante, in modo continuativo e quotidiano, insomma full time e non solo marginalmente.
In futuro mi vedo nell’arte in generale, mi piace la contaminazione di discipline; sopratutto poi nella musica e nell’insegnamento, cosa che è già in progress dato che faccio parte della squadra di docenti della Tenax Academy di Milano.
Lavorare con altre persone aiuta e porta freschezza nel modo di pensare e anche di fare musica, è uno stimolo che permette di avere dei nuovi spunti.
Un’ultima domanda su come è nato il nome Katatonic Silentio.
Prima di essere Katatonic Silentio ho avuto vari progetti, quello ultimo era “Kappa” con cui facevo principalmente techno e ambient. Tra le varie cose, sono stata resident al Nul per circa 2 anni, periodo in cui ho avuto modo di crescere e molto spazio e tempo per sperimentare. Mossa da questa sperimentazione, complice anche il percorso di studi intrapreso in quel periodo, avevo l’esigenza di spostarmi su cose più “aperte”, cose più contaminate a livello musicale ma anche cose più legate ad ambiti artistici più ampi.
Avevo fatto una lista di moniker ipotetici e la parola ricorrente era “silenzio”. Un amico stretto sosteneva che dovevo trovare qualcosa che rispecchiasse la mia personalità, appunto pacata, silenziosa ma catatonica, e quindi ha avuto l’illuminazione su Katatonic Silentio.
Mi piaceva perché effettivamente dice molto di me pero’ alla stesso tempo lascia un filo di mistero: leggendo solo il nome non si capisce se è un progetto singolo, una donna, un gruppo o un progetto audio-video, insomma non si sa cosa si cela dietro il velo di Maya, almeno all’inizio.Oltre a questo, c’era anche la questione dell’importanza del silenzio nella musica: per esempio ho sempre avuto la tendenza a riempire molto sonicamente, lasciando poco spazio di respiro. Poi una persona mi ha detto: “ricorda che anche il silenzio è importante. Non aver paura di svuotare, non aver paura del silenzio.”